Giorgio Pignotti Italy Painting

La pittura di Giorgio Pignotti è fondamentalmente interrogativa, per il fatto che le sue strutture formali presentano costanti e
intenzionali contraddizioni alle logiche cromatiche, strutturali o rappresentative solite del dipingere: questo perché l’artista sta
avanzando in un linguaggio sempre più raffinato e molto, molto attento a quello che sta accadendo nella pittura contemporanea,
con la quale riflette e discute. Scegliere di confrontarsi direttamente con questi linguaggi contemporanei significa anche che l’artista
ha una sua “filosofia” del Reale, del corpo, della fisicità, del volto, del paesaggio e dal mio punto di vista, è una filosofia quanto mai
attuale e proverò a spiegare perché. Per “incontrare” questa pittura, una prima questione da definire è che il suo senso non va cercato
semplicemente nel soggetto rappresentato, ma soprattutto in “come” le cose sono rappresentate. Le scelte espressive miratamente
contraddittorie nei confronti delle logiche tradizionali della rappresentazione, ci obbligano ad indagare proprio le strutture della
forma, fatto che, allo stesso tempo, ci suggerisce la qualità introspettiva della sua pittura e la forte sostanza speculativa che le scelte
formali rivestono. Proviamo a notare alcuni particolari: c’è innanzitutto, un forte evidenza di un vuoto che abita negli spazi al di là
della superficie pittorica; le figure, archetipi maschili e femminili, spesso altrettanto indefiniti nelle loro fisionomie, nelle relazioni
reciproche, si muovono in spazi ampi dai contorni e dalle profondità incerte. La nudità senza mediazioni non ha nulla di erotico
ma è uno stato, una condizione di essenzialità e i colori accesi dei corpi delineano la fisicità con lumeggiature violente e nitide mai
intenzionate a delineare volti o espressioni, al massimo, i corpi e la loro sessualità. Il fondo, i campi di colore o anche i paesaggi sono
fatti di contrasti forti, in un gioco di toni freddi, elettrici e innaturali, percorsi da lame di colore caldo; talvolta il fondo entra nel corpo
e il corpo si assimila al fondo, confondendo la spazialità suggerendo una sparizione o una compenetrazione. Il colore però non è
unitario o definito ma appare stratificato o graffiato, o improvvisamente, colato.
In altri dipinti appaiono ritratti che sanno di pittura classica, più o meno definiti, come fossero elementi di un paesaggio, piuttosto
che persone. Appaiono come “ citazioni”, al di la del fatto che siano o no delle persone reali e sembrano riemergere da uno stato di
memoria indistinta.
I colori ricordano le scelte formali di Peter Doig, o più profondamente espressioniste, le lacerazioni, i ritratti e i tagli, le opere di Samorì
ma come fossero teste di bambole, fantocci staccati da una pittura antica e lasciati rotolare su un paesaggio costantemente illuminato
come da neon. Aleggia costantemente un senso di pittura metafisica, un senso di attesa, di indeterminazione e di irrealtà. I nudi
hanno comunque una loro monumentalità in rapporto con lo spazio del quadro, ma la loro solidità si interrompe spesso e sembrano
continuamente trapassare dalla concretezza all’immaginario.
Come leggere tutto questo? La mia impressione è quella di una condizione di indeterminatezza di identità, di una confusione fisica ed
esistenziale, della coscienza di essere in trasformazione, in-definizione. E’ una condizione che l’artista vuole affrontare, che vuole da un
lato rappresentare ma anche combattere cercando di non annullare mai totalmente il “concreto”, la determinazione nella confusione.